Garin Nugroho, il massimo cineasta indonesiano, con un percorso cinematografico volto a fare del cinema una summa delle arti tradizionali balinesi, si confronta con il genere horror, e thriller, con il film Deadly Love Poem (il titolo originale è Puisi cinta yang membunuh), presentato nella sezione Harbour dell’International Film Festival Rotterdam 2023, dopo l’anteprima al Jogja-NETPAC Asian Film Festival e l’uscita nelle sale nazionali. Il cineasta indonesiano più stimato nei festival internazionali, si avvicina così ai B-movie del Sudest asiatico, a opere di autori connazionali specializzati come Upi, Joko Anwar, Timo Tjahjanto, con il loro campionario gore e splatter, ma anche nel loro rifarsi, spesso, al folklore locale. Nugroho, però, soprattutto nella prima parte, ambientata in un mondo yuppie vanziniano, tra party esclusivi e sfilate di moda, guarda a (citandoli a volte espressamente) Shining, De Palma, Lynch, Argento. Già nella grande festa in maschera iniziale, di Halloween ma anche di compleanno di una stilista di successo, tornano quella in maschera dell’Overlook Hotel come quella di Eyes Wide Shut, e tra i cosplayer partecipati che chi emula miti dell’horror come Freddy Krueger. Un party che diventerà una macabra mattanza a spese del giovane chef, teorico di una sensualità che abbraccia cibo ed erotismo, nel magnificare ingredienti speziati o esotici come il frutto dell’avocado, la cui origine etimologica risale al termine messicano aguacate che significa testicoli. Ma il povero chef non include la coordinata Thànathos tra gli ingredienti della vita, e finirà decapitato con la testa servita come decorazione di una torta. La successiva scena della sfilata di moda sarà ancora un tripudio kitsch, con atmosfere surreali degne di Satoshi Kon o Sion Sono.
Protagonista del film è Ranum, una ragazza che lavora in una sartoria di una casa di moda. Viaggia in macchina in quel rutilante mondo dell’alta società, inquadrata in volto, come un controcampo delle lynchane strade perdute, reso variopinto dalle rifrangenti luci della città. Tagliare i tessuti, i drappi di velluto diventa facile metafora della lacerazione della carne, della penetrazione dei corpi come gli aghi da uncinetto conficcati nei corpi con vocazione alla San Sebastiano. I tessuti che rappresentano anche un ricordo di colonialismo: la seta pregiata intessuta dalle donne indiane per i reali inglesi, come viene ricordato. Garin Nugroho non lesina a quegli effettacci che abbondano negli sgangherati film di genere cui si rifà, come a quelle immagini gravide di inquietudine qui rappresentate da una misteriosa mano che incombe, o dalla sua ombra. Al contempo il regista costruisce il film come la sua solita intessitura di forme d’arte che sconfinano l’una nell’altra. Il, o la, killer, recita poesie quando commette omicidi. Del resto, è la stessa criminologa a raccontare, in una conferenza, come uno dei più efferati stupratori della storia, un indonesiano emigrato in Inghilterra, responsabile di 48 violenze accertate, sulle 195 stimate, fosse in grado di incantare le sue vittime con un eloquio raffinato e seducente. E una matita, con cui si possono scrivere opere, si rivelerà cruciale nella storia ma nella funzione di arma, conficcata nelle mani. La poesia assume la valenza così di fiore del male, di elemento del crimine. Ma c’è anche il teatro, rappresentato dall’uomo di cui si innamora Ranum, introdotto mentre è intento in un monologo. E poi compaiono i fumetti vintage, sempre gravitanti sulla poesia e sull’horror.
Nella seconda parte del film, più di ambientazione rurale, tra prati e campi di mais, la detection si sviluppa passando attraverso archetipi dell’umanità, come la storia di Adamo ed Eva, magari con la mela sostituita da un durian, il dio cinese dell’amore e del matrimonio Yue Lao, le maschere dell’antico teatro balinese di Barong e Rangda, la seconda delle quali una strega, figura cui può essere assimilata Ranum, come una maledizione che la perseguita. Compaiono nel film, che Nugroho concepisce ancora come una forma di performance, due figure allegoriche, un danzatore con serpente e una donna con un bambolotto. L’universo stesso è un grembo materno, così dice l’antica sapienza e, nel dipanarsi della narrazione, si scoprirà una gemella di Ranum. E il percorso antropologico di Nugroho approda così al doppelgänger, che ancora tanto ruolo ha avuto nel cinema di Cronenberg, Kubrick, Tsukamoto. E compare anche un triciclo che, con le due bambine gemelle, ci porta ancora una volta a Shining. Il cinema stesso di Nugroho è un ventre materno, che accoglie il gore come la performance teatrale e i classici della settima arte.
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